“UNA CITTA’ PER SINISA”

Una dichiarazione, una soltanto, che, più di altre, mi abbia trasportato su una dimensione diversa.
Nando Orsi che afferma: "Quando un calciatore viene chiamato per nome, come nel caso di Sinisa, significhi che siamo al cospetto di uomo dalla personalità immensa, un uomo ancor prima di un calciatore".
E' questo il concetto espresso dall'ex portiere della Lazio, nel giorno di quello che sarebbe stato il cinquantaquattresimo compleanno di Sinisa Mihajlovic, per l'appunto.
Le sue maglie, quella numero 4 della Roma e quella numero 11 della Lazio, esposte nella pancia dello Stadio Olimpico, in compagnia delle casacche di Giorgio Chinaglia, Francesco Totti e Daniele De Rossi.
Alla presenza di ex calciatori di entrambe le squadre della Capitale, della moglie Arianna e dei suoi figli, a poco più di due mesi dalla sua scomparsa, occhi lucidi e nitidi ricordi per omaggiare un uomo speciale.
Uno di quelli che ha lasciato un solco profondo in tutti coloro che lo abbiano conosciuto di persona.
Dai suoi ex compagni dalle mille battaglie, ai calciatori che abbiano avuto l'onore e il privilegio di essere allenati da lui.
Ultimo, in ordine di tempo, Roberto Soriano, che nel post-gara di Sampdoria-Bologna, di sabato scorso, sia scoppiato in lacrime, a seguito di una domanda, a lui rivolta, in cui si facesse riferimento all'ex tecnico dei rossoblù.
Sinisa Mihajlovic, per l'appunto.
Uomo tenace, grintoso, un combattente nato.
Uno approdato nella Capitale dopo i fasti della Coppa dei Campioni vinta con la Stella Rossa di Belgrado.
Prima i colori giallorossi, con Vujadin Boskov in panchina, e poi quelli biancocelesti della Lazio, con cui ha conquistato uno scudetto e 6 coppe.
Storie di uno che in campo non ha mai mollato, inseguendo gli avversari con veemenza.
Così come ha fatto con la malattia.
Nonostante la brutalità della leucemia, ha fatto in modo di non distaccarsi dal suo Bologna.
Ha fatto leva sulle capacità dei medici e sulla competenza del suo staff tecnico.
Il resto è storia che conosciamo.
Una storia fatta di immagini, di ritorni in campo, di assenze e di messaggi che hanno toccato le corde emozionali di ciascuno di noi.
Sino all'ultimo saluto, in quel freddo 19 dicembre, in cui la Capitale intera, e non solo, si sia stretta attorno al suo sorriso.
Il sorriso garbato, sornione, di un uomo dal cuore tenero, con le sue fragilità, ma dall'alto senso morale.
La famiglia prima di tutto, le squadre in cui ha militato e quelle in cui ha allenato.
Ieri, infine, il doveroso riconoscimento da parte di entrambi i club della Città Eterna.
Roma e Lazio unite nel ricordo e nella memoria immarcescibile di Sinisa Mihajlovic.
Occhi lucidi e parole singhiozzanti.
Perché è proprio vero che quando un campione venga chiamato per nome, significhi che il suo essere uomo, nella miglior accezione del termine, abbia, addirittura, di gran lunga superato le straordinarie qualità dell'atleta e dell'allenatore.
Per sempre, Sinisa.
Lorenzo Cristallo