“IL MERCATO NEL PALLONE”

Alcuni film producono risate, deflagrano ironia, poi, però, trascorrono gli anni, 39 per l'esattezza, e ci si rende conto che quel conciliabolo fra il Presidente Borlotti e l'allenatore Canà, nella pellicola cult, L'Allenatore nel pallone, rappresenti uno spaccato premonitore di ciò che sarebbe stato il nostro calcio.
Un calcio dalle casse prosciugate, molto spesso rappresentato da presidenti, come il commendatore Borlotti, più prenditori che non imprenditori, e da un sistema squattrinato, spesso improvvisato, oggi genuflesso ai rischi, e ricchi, arabi.
Insomma, ne L'Allenatore nel pallone si rideva di gusto e il nostro campionato, la nostra serie A ammirata attraverso gli occhi della genuina Longobarda, era fucina di campioni.
Da Platini a Zico, passando per Falcao e Rummenigge.
Campioni che Canà provava ad arginare attraverso Aristoteles.
Oggi, di campioni con la C maiuscola neanche l'ombra.
La serie A non è tappa per Haaland o Mbappé, e su Osimhen è più la strizza che vada via, che non la certezza assoluta che rimanga.
Ed allora quei discorsi nell'hotel in cui si svolgeva il calciomercato, quel discorso rompicapo fatto di comproprietà spiegate in maniera astrusa e di possibili acquisti di calciatori da accostare al Dio del calcio, come Maradona, abbiano tratteggiato l'Italia pallonara con cui dopo 39 anni ci ritroviamo a fare i conti.
Con cavalli di ritorno come Morata e Lukaku, discussi, amati ed in ultimo disprezzati dai cuori infanti.
Oppure con giovani made in Italy che fatichino ad emergere con convinzione.
Frattesi all'Inter e Parisi alla Fiorentina, lampi nel buio.
Oppure Scamacca, desideroso di ricostruirsi un'immagine in Patria, dopo l'annus horribilis Oltremanica.
Tutto questo, ovviamente, limitando i costi e prestando il fianco alle avanzate dalla Premier o ancor peggio dall'Arabia Saudita.
Roba che all'epoca, il commendator Borlotti e mister Canà neanche potessero immaginare.
Sceicchi disposti ad investire sul calcio: scenario non contemplato nel copione.
Ed allora, nel 1984 furono risate, oggi fotografia perfetta di società costrette a cedere prima di acquistare, senza particolari forze nelle trattative con club esteri, nel contesto di un campionato che, per carità, amiamo come allora, ma meno attrattivo agli occhi di chi ci osservi.
Perché, in fondo, in fondo, nel marasma generale, in quest'epoca, Borlotti e Canà sarebbero a loro agio, se non fari per gli operatori di mercato attuali, in cui gli agenti e i faraoni esteri impongano costi, scambi e costruiscano le squadre che verranno.
Lorenzo Cristallo