“GAUDI’ NERAZZURRO”

E' andato via oggi, in una domenica di inizio luglio, ad 88 anni, il Gaudì nerazzurro: Luisito Suarez.
Nato a La Coruna, Luisito fu l'espressione, l'immagine, l'icona della Grande Inter.
La Grande Inter di Helenio Herrera, la Beneamata griffata anni '60, capace di centrare con Luisito, 3 scudetti, 2 coppe dei campioni e 2 coppe intercontinentali.
Pallone d'Oro, uomo d'ordine, uomo di centrocampo, Suarez fu ispirazione per i suoi compagni.
Palla ai piedi e fantasia in grado di assumere il sopravvento.
Estro sul campo ed eleganza fuori.
Cordiale, gentile, disponibile.
Tutto questo fu Luisito Suarez, cittadino onorario di quella Milano nerazzurra che lo accolse, come detto, nel 1961, dopo un'operazione di mercato con il Barcellona dall'importo di 300 milioni delle vecchie lire, cifra che permise al club catalano di completare una parte del Camp Nou in costruzione.
In nerazzurro, quindi, dal 1961 al 1970, Suarez chiuse la carriera, in Italia, indossando la maglia della Sampdoria dal 1970 al 1973.
Da allenatore, poi, ottenne un ottimo risultato nelle vesti di c.t. dell'Under 21 della Spagna, conquistando il titolo europeo nel 1986, mentre con la Nazionale maggiore, diresse la Roja ad Italia '90, uscendo di scena, però, agli ottavi, per mano della Jugoslavia.
Nel nome del suo amore per l'Inter, diresse la compagine nerazzurra in situazioni emergenziali.
Fatta eccezione per la stagione '74/75, nel 1992 subentrò a Corrado Orrico, a margine di un campionato particolarmente difficile, che culminò con l'ottavo posto dell'Inter, di cui si ricorderanno, in molti, una litigata a distanza con un suo ex calciatore, Stefano Desideri.
La sua ultima apparizione, poi, in panchina, fu nel 1995, giusto il tempo di due gare di serie A, prima che Roy Hodgson subentrasse ad Ottavio Bianchi.
A seguire entrò nell'organigramma della dirigenza interista dell'epoca, capeggiata da Massimo Moratti.
Mentre di Angelo Moratti, fu il vanto, il fiore all'occhiello, lo spagnolo, dal volto antico, capace di spingere la Beneamata oltre i confini nazionali.
Ed allora ci mancherà l'effige da Hombre del partido, di Luisito Suarez.
Ironico, mai sfuggente e dallo spiccato spirito di appartenenza.
Espressione di un calcio in bianco e nero di cui tanto sentiamo la mancanza.
Un calcio che metteva in vetrina il bello, la riconoscenza e il desiderio di emergere difendendo una causa.
In questo caso, la causa nerazzurra.
Luisito Suarez: il Gaudì che dipinse ritratti storici sulla sponda interista del Naviglio.
Lorenzo Cristallo